L’acqua che consumiamo è molto di più di quanto si creda. Non riusciamo a percepirla come acqua perché è acqua che letteralmente “mangiamo”. Siamo abituati a dati che riportano per l’Italia un consumo di 152 metri cubi annui per abitante contro i 100 della Spagna, 110 del Regno Unito, 73 dei Paesi Bassi, 57 della Germania. Questi dati non sono sbagliati, ma prendono in considerazione solo l’acqua “visibile”, cioè, quella che materialmente scorre tra le nostre mani.

L’”acqua virtuale”

La verità è molto più complessa: c’è un’acqua invisibile che consumiamo ogni giorno in quantità ingenti. È l’acqua virtuale, cioè la quantità d’acqua utilizzata direttamente e indirettamente durante tutto il processo produttivo per fabbricare un bene, anche alimentare.

Come accennato sopra, l’acqua che arriva sulla nostra tavola sotto forma di cibo non è tutta uguale. Le tipologie di acqua che si trovano in natura sono diverse, come diverso è l’impatto ambientale del loro utilizzo. I diversi tipi di acqua virtuale coinvolti nella produzione di beni agroalimentari sono riconducibili a due categorie: l’”acqua blu” e l’acqua cosiddetta “verde”.

L’utilizzo delle due diversi componenti di acqua incidi in modo diverso sul ciclo idrogeologico e determina il grado di sostenibilità del processo produttivo.

Disponibilità idrica in alcuni paesi del Mediterraneo

L’acqua blu

L’acqua blu è l’acqua di superficie (contenuta in fiumi e laghi) o che proviene dal sottosuolo (falde freatiche). Essa rappresenta il 35% circa del totale di acqua dolce disponibile per uso umano, è di facile accesso e trasporto, il che ne favorisce l’uso e lo sfruttamento. È l’acqua che può essere misurata, contenuta in dighe, conservata per usi futuri, pompata nelle reti idriche, usata per irrigare. Nel caso di prodotti agricoli, l’acqua blu è quella apportata dall’irrigazione come supplemento all’acqua piovana ed evaporata attraverso il suolo e la biomassa vegetale.

L’acqua verde

L’acqua verde invece è l’acqua piovana conservata nel suolo e che supporta “invisibilmente” l’agricoltura non irrigua, la crescita della vegetazione e la preservazione della biodiversità. Nel suo impiego agricolo, questo tipo di acqua corrisponde all’ammontare di acqua piovana evaporata dal terreno durante il periodo di crescita delle colture includendo anche l’evapotraspirazione e rappresenta, secondo stime recenti, l’84% del consumo globale di acqua in agricoltura. A differenza dell’acqua blu, l’acqua verde è difficilmente accessibile, poiché impossibile da pompare, e misurabile, e il suo utilizzo esercita un impatto meno invasivo sugli equilibri ambientali rispetto al consumo.

Il costo opportunità dell’acqua verde è molto basso, in alcuni casi quasi nullo, perché non può essere impiegata in altri settori se non in quello agricolo e di conservazione dell’ambiente. Il suo utilizzo inoltre non influisce sulla disponibilità di acqua blu che, potendo essere impiegata in diversi settori, ha invece un alto costo opportunità e va tutelata il più possibile.

In Italia la quantità annuale di acqua blu pro capite è di 982 metri cubi, pari al 61% della disponibilità idrica totale; quella di acqua verde è di 632 metri cubi, ed è pari cioè al 39% della disponibilità idrica totale.

È possibile distinguere ulteriormente tra acqua blu proveniente da fonti rinnovabili e acqua blu non rinnovabile.

Appartiene al primo gruppo l’acqua di superficie o proveniente da falde sotterranee che viene regolarmente ricaricata grazie alla pioggia e alla neve, la cui soglia di sfruttamento può essere misurata grazie al calcolo di quanto viene naturalmente ricaricato per infiltrazione ogni anno. Se lo sfruttamento supera la soglia di ricarica naturale, si parlerà di “sfruttamento non sostenibile” di falda rinnovabile.

La seconda categoria d’acqua blu non rinnovabile, si riferisce invece all’acqua che viene estratta da falde acquifere fossili con bassissima percentuale di ricarica, contenente cioè uno stock di acqua che risiede lì da milioni di anni e che, se consumata, non verrà ricompensata se non dopo un numero equivalente di anni. Anche se non propriamente non rinnovabili, questo secondo tipo di risorse va considerato a tutti gli effetti come tale: il loto sfruttamento totale implicherebbe infatti una scarsità idrica certa per le generazioni successive. La maggior parte degli acquiferi sotterranei è sfruttata oltre la soglia naturale di rinnovabilità della fonte, oppure non sono rinnovabili, e quindi consumati, per definizione, a discapito delle generazioni future.

L’acqua virtuale di un prodotto agricolo è quindi la somma dell’acqua (verde) piovana evaporata durante il processo produttivo di crescita delle colture e dell’acqua (blu) di superficie o sotterranea, che a sua volta si divide in rinnovabile o non rinnovabile, a cui andrebbe aggiunta anche l’acqua necessaria per diluire gli agenti inquinanti del processo di produzione, definita come “acqua grigia”.

I diversi prodotti alimentari “posseggono” quindi un determinato contenuto di acqua virtuale – verde, blu e grigia – generalmente espresso in litri o metri cubi, a cui corrisponde una tipologia determinata dalla fonte di provenienza. Prodotti di origine animale come uova, latte e carne hanno un contenuto di acqua virtuale maggiore rispetto ai prodotti coltivati. È bene sottolineare che il volume di acqua necessaria alla produzione di uno stesso bene alimentare può variare notevolmente a seconda del luogo di produzione: la produttività dell’acqua è infatti determinata dalle caratteristiche del suolo e dai fattori climatici, dalle tecnologie utilizzate e dalle modalità di gestione della risorsa.

Questo significa che il volume di acqua necessario alla produzione di un pomodoro in aree temperate sarà diversa dall’acqua virtuale contenuta in uno stesso prodotto proveniente da regioni aride o semi-aride. Non solo, tenendo presente la differenziazione tra le diverse fonti d’acqua introdotta precedentemente, potremmo affermare che uno stesso prodotto proveniente da luoghi di produzione diversi può contenere – in forma virtuale – acqua blu (rinnovabile o non rinnovabile) o verde.

In altre parole: non solo non tutte le gocce d’acqua sono uguali, ma nemmeno tutti i pomodori.

Bibliografia:
“Il libro blu dello spreco in Italia: l’acqua” a cura di Andrea Segrè e Luca Falascioni
“L’acqua che mangiamo: cos’è l’acqua virtuale e come la consumiamo” a cura di Marta Antonelli e Francesca Greco

Aiutiamo le imprese a migliorare la gestione delle acque

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