L’acqua che c’è, quella che si prende e quella che si riusa. Questi i tre punti che occorre analizzare per valutare l’impatto idrico dell’industria secondo l’ENEA – Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile.
Cos’è l’impronta idrica
L’impronta idrica agevola il necessario processo di monitoraggio delle risorse idriche disponibili: si tratta di un indicatore ambientale che misura il volume di acqua dolce consumata – in maniera diretta e indiretta – per produrre beni e servizi da parte di un singolo individuo, di una comunità, di un prodotto o di un’azienda.
Cosa ha sviluppato l’ENEA
L’ENEA ha di recente sviluppato una nuova metodologia di analisi per valutare l’impatto delle industrie sulle risorse idriche locali, come fiumi e laghi, nell’ambito del progetto RECIProCO finanziato dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy. L’ENEA ha messo a punto un protocollo di valutazione calato sulle aree specifiche dei processi produttivi e sui loro bacini idrici. I casi pilota sono due cartiere, di cui una situata accanto al corso del Brenta-Baccaglione in Veneto e una sulle sponde dell’Arno in Toscana, e uno stabilimento industriale del settore tessile nei pressi del Ticino in Lombardia.
Ciò che emerge è che attraverso questa metodologia è possibile non solo valutare l’efficienza idrica dell’impianto nel suo complesso, ma anche mettere in luce le variabili che ancora si possono migliorare.
Il procedimento mette a sistema tre indicatori:
- L’Indice di stress idrico di consumo e prelievo (Water Consumption Stress Index), che fornisce una descrizione dello stato delle risorse locali basata su un bilancio annuale medio a livello di sottobacino dell’acqua prelevata e consumata, oltre che della variabilità stagionale, dei periodi critici e delle tendenze storiche;
- L’Indice di impatto totale dell’insediamento industriale (Overall Factory Basin Index) sul bacino idrografico locale, che mappa il ciclo idrico della struttura e integra dati su prelievi, consumi, restituzioni e perdite d’acqua.
- Infine, l’Indice di riuso idrico aziendale (Internal Water Reuse), che valuta l’efficienza dell’uso dell’acqua da parte dell’industria.
Analizzando i settori
Non un dato unico e onnicomprensivo, dunque. Piuttosto, una scomposizione del rapporto produzione-acqua in diversi fattori che consentono di prendere in esame uno stabilimento osservandone le attività da molteplici prospettive, così da avere un’idea chiara dei parametri di qualità più o meno elevati. A un confronto tra le tre industrie, il procedimento di analisi mostra che a un impatto totale inferiore, non necessariamente corrisponde il massimo dell’efficienza nel riuso idrico: se in Lombardia il bilancio totale è il più virtuoso, è la cartiera toscana a riutilizzare al meglio l’acqua (98%). «In generale questi due settori produttivi si caratterizzano per un elevato consumo di acqua ma esiste chiaramente una differenza nell’equilibrio delle risorse idriche tra i sottobacini considerati: l’Arno è quello che presenta le maggiori criticità per lo sfruttamento idrico, la quantità d’acqua disponibile e la variabilità stagionale» commenta Luigi Petta, responsabile del Laboratorio Enea di tecnologie per l’uso e gestione efficiente di acqua e reflui e tra gli autori dello studio. Al di là delle specificità del luogo, un margine di incremento dell’efficienza c’è. Margine che va sfruttato al massimo.